JOHNNY CASH

Johnny Cash Biografia: uno degli artisti più importanti  della musica americana del dopo guerra ed una figura atipica nella musica popolare americana
Johnny Cash: uno degli artisti più importanti nella storia della musica americana del dopo guerra.

ROCK USA


ICONA DEL COUNTRY E NON SOLO

Agli inizi del 1956, gli States erano ormai pronti alla grande rivoluzione del rock and roll. E mentre Elvis Presley era incoronato re incontrastato del nuovo genere, emerse, tra l’innovativa schiera dei giovani talenti americani, Johnny Cash. Divenne uno degli artisti più importanti nella storia della musica americana del dopo guerra. Cantautore, chitarrista e attore, interprete di numerose canzoni country, folk, e di celebri talking blues. Dagli anni ’50 agli anni ’70, fu in assoluto il più grande autore e interprete della musica country. Sebbene principalmente ricordato come un’icona della musica country, il suo repertorio spaziava attraverso generi quali rock and roll, rockabilly, blues, folk, e gospel. Questa poliedricità di stili, gli valse, molti riconoscimenti importanti.

IL SUCCESSO

Sospinto dalla nuova ondata musicale, Cash uscì dai limitati confini del country, con “I Walk The Line”, primo singolo ad entrare nelle classifiche pop. Tuttavia, rimase fedele al suo animo rurale, realizzando uno dei suoi più grandi sogni: arrivare al Grand Ole Opry da Nashville.
La sua popolarità crebbe mese dopo mese in maniera costante.
Per sfruttare il successo di “I Walk The Line”, il manager di Cash, Bob Neal, organizzò un tour in California per il febbraio del 1957. A seguire, un giro in Canada, prima volta al di là delle mura a stelle e strisce. Vera ciliegina sulla torta, un contratto per dieci puntate del Jackie Gleason Show.
La vita on the road fu, tuttavia, estremamente dura e spossante. Johnny e i suoi musicisti dovettero affrontare viaggi lunghissimi, per spostarsi tra una data e l’altra. Così, Cash iniziò ad assumere quantità sempre maggiori di droga, lasciando in disparte la moglie, scrivendo canzoni quasi senza sosta. Sul palco divenne una vera forza della natura, loquace oltre ogni limite e sbruffone nelle sue pose da chitarrista cantastorie.

STILE

La versatilità nell’interpretare ballate, gospel, blues, country e rockabilly e l’incisività delle sue composizioni, fecero di Cash un vero e proprio punto di congiunzione. Infatti riuscì a far convergere la tradizione, il country moderno e il pop commerciale.
Con la sua voce basso-baritonale e lo stile di scrittura, restando comunque ancorato alla tradizione country, riuscì ad attirare anche i rockers. Inoltre le sonorità spesso vicine al rockabilly e testi che raccontavano i contrasti generazionali, amori impossibili, malinconici e ribelli, ne decretarono il successo in patria.

Nonostante l’immagine austera ed autorevole, incise anche alcuni pezzi dal taglio umoristico come “One Piece at a Time” e “A Boy Named Sue”. Ma anche duetti con la futura moglie June Carter. Addirittura nell’ultima parte di carriera, fece sorprendenti reinterpretazioni di brani di artisti rock contemporanei. Tra i quali troviamo: “Hurt” dei Nine Inch Nails, “Personal Jesus” dei Depeche Mode, “Rusty Cage” dei Soundgarden e “One” degli U2.

I CONCERTI IN PRIGIONE

Tra il 1968 e il 1969, pubblicò i celebri album “Johnny Cash at Folsom Prison” e “Johnny Cash at San Quentin”. Entrambi gli album, registrati all’interno di carceri di massima sicurezza, di fronte a un pubblico di detenuti, riscossero enorme favore di critica e pubblico. “At San Quentin” include il singolo “A Boy Named Sue”, che raggiunse la vetta della classifica country e la seconda posizione nella classifica pop statunitense. La versione della canzone pubblicata su singolo, venne censurata eliminando alcuni termini ritenuti “sconvenienti”. Dal punto di vista commerciale, nel 1969 Cash eclissò addirittura i Beatles negli Stati Uniti vendendo 6.5 milioni di copie di dischi.
Nel 1972 si esibì nella prigione di Österåker in Svezia. L’album live På Österåker venne pubblicato nel 1973, ma non riscosse il successo dei suoi predecessori. Nel 1976, un ulteriore concerto in carcere, questa volta presso la “Tennessee Prison”, venne filmato per la trasmissione televisiva. Il concerto venne pubblicato dopo la morte di Cash con il titolo “A Concert Behind Prison Walls” nel 2003.

CONDUTTORE TELEVISIVO

Dal 1969 al 1971, Cash condusse il suo personale show televisivo, il Johnny Cash Show, sul canale ABC. In ogni puntata aprirono per lui gli Statler Brothers; la Carter Family e la leggenda rockabilly Carl Perkins sono anch’essi parte dell’entourage del programma. Inoltre, puntata dopo puntata, Cash invitò allo show svariati nomi celebri del music business in qualità di ospiti. Tra i quali, Neil Young, Stevie Wonder, Louis Armstrong, Neil Diamond, Joni Mitchell, Kenny Rogers, James Taylor, Ray Charles, Roger Miller, e Bob Dylan. Durante questo periodo, contribuì alla colonna sonora del film “Lo spavaldo”, nel quale recitarono: Robert Redford, Michael J. Pollard, e Lauren Hutton. “The Ballad of Little Fauss and Big Halsey”, scritta da Carl Perkins per il film, ricevette una nomination ai Golden Globe.

THE MAN IN BLACK

All’inizio degli anni settanta, “cristallizzò” la propria immagine pubblica come “The Man in Black” (“l’uomo in nero”). Iniziò a modificare il proprio aspetto, smise di imbrillantinarsi i capelli, iniziando a cotonarseli. Inoltre cominciò ad indossare completi meno sobri ed austeri, diversificando il suo guardaroba in funzione della nuova veste di star televisiva. Nei concerti si esibiva regolarmente vestito di nero, indossando un lungo cappotto anch’esso nero. Questo abbigliamento era in netto contrasto con gli sgargianti costumi colorati e i cappelli da cowboy indossati dalla maggior parte dei cantanti country dell’epoca. Nel 1971 scrisse, a tal proposito, la canzone “Man in Black”, per spiegare il suo stile d’abbigliamento. Il brano cita: «Indosso il nero per i poveri e gli oppressi, che vivono nel lato disperato ed affamato della città. Lo indosso per il detenuto che ha a lungo pagato per il suo crimine, Ma è lì, perché è una vittima dei tempi.» Cash, in una delle tante interviste, dichiarò che semplicemente gli piaceva il nero e che era il colore più pratico da indossare sul palco. Pubblicò un’autobiografia nel 1975, Man in Black, che ottenne la vendita di 1.300.000 copie.

IL DECLINO E LA MALATTIA

Nel 1980, all’età di 48 anni divenne l’artista vivente più giovane ad essere introdotto nella Country Music Hall of Fame. Ma in quel decennio, iniziò il suo declino artistico, nonostante lo circondasse la stima di colleghi e appassionati. Restò comunque in classifica, specialmente con l’album “Johnny 99”, album di cover che includeva due brani di Bruce Springsteen tra cui “Johnny 99”. Negli anni seguenti si ammalò anche di polmonite, diabete, peritonite, perdita parziale della vista, e da un imprecisato disturbo nervoso degenerativo. Quest’ultimo lo portò ad avere problemi motori costringendolo, nell’ultimissimo periodo di vita, su una sedia a rotelle.

LA RIPRESA

Nel 1994, con il nuovo contratto con la American Recordings di Rick Rubin, avvenne la ripresa di Johnny Cash. Infatti Rubin, introdusse Cash verso una nuova generazione di pubblico, rinverdendone la fama, rimarcando la sua statura artistica e di leggenda vivente. Il primo disco American Recording, prettamente acustico, era costituito da canzoni del suo repertorio e da reinterpretazioni di brani di artisti contemporanei scelti da Rubin. Questo nuovo lavoro di Cash, venne accolto trionfalmente e vinse il Grammy nella categoria Best Contemporary Folk Album.

ARTISTA DEGNO DI RISPETTO

Cash era una figura atipica nella musica popolare americana del XX secolo, pur essendo un cristiano dalle convinzioni evangeliche tradizionali, era rispettato e riverito da icone della cultura alternativa oltre che da importanti figure della cultura dominante. Morto nel 2003, venne sepolto accanto alla moglie June Carter.

SAPEVATE CHE…

Johnny Cash era alto 1 metro e 88.

Era soprannominato Man in Black, anche per via della sua scelta nel look dagli anni Settanta.

Iniziava i suoi concerti con la frase: “Hello, I’ m Johnny Cash“

È stato uno dei pochissimi cantanti ad avere venduto più di novanta milioni di dischi.

Fu amico di diversi presidenti degli Stati Uniti: da Richard Nixon a Ronald Reagan e George W. Bush.

Fa parte anche della Hollywood Walk of Fame e della Rock and Roll Hall of Fame.

Fu un devoto cristiano.

Si laureò nel 1977 in teologia presso la Scuola Cristiana Internazionale di Teologia.

Nel 2005 uscì un film biografico sulla sua vita, dal titolo Quando l’amore brucia l’anima.


Su Instagram Johnny Cash ha un account ufficiale a lui dedicato.

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GENE VINCENT BIOGRAFIA

GENE VINCENT BIOGRAFIA
GENE VINCENT BIOGRAFIA. Vi furono musicisti nell’ambito dello stesso rock & roll che più di altri furono giudicati inaccettabilmente pericolosi, folli, selvaggi, ribelli. Sicuramente, Gene Vincent fu il massimo rappresentante di questa tendenza.
Il tempo lo ha eletto come eroe indiscusso del rockabilly.

ROCK USA


IL PERICOLOSO EROE DEL ROCKABILLY

GENE VINCENT BIOGRAFIA

Negli USA del ’50, l’avvento del rock & roll, portò con sè un’inaudita ventata di trasgressione. Tuttavia vi furono musicisti nell’ambito dello stesso rock & roll che più di altri furono giudicati inaccettabilmente pericolosi, folli, selvaggi, ribelli.
Sicuramente, Gene Vincent fu il massimo rappresentante di questa tendenza, consegnando il rockabilly alla sua quintessenza. Pur avendo partorito un solo grande hit con la canzone Be-Bop a Lula, nella quale per altro è già ravvisabile lo stile musicale che permeerà tutta la sua carriera, il tempo ha eletto Vincent quale eroe indiscusso del rockabilly.

I PIANI ALTI DEL ROCK’N’ROLL

“Be-bop-a-lula she’s my baby”… Cantando queste parole, tra il nonsense e il canto d’amore, che Gene Vincent, schizza ai piani alti dell’edificio del rock’n’roll. Con il tempo, incarnerà sempre più l’ideale ribelle di quel genere musicale che lui stesso contribuì ad imbastire sul finire degli anni ’50.

LA LEGGENDA DI BE BOP A LULA

Si tratta di una canzone, il cui titolo è ispirato al personaggio dei fumetti “Little Lulu”. A proposito di questa canzone, gira una leggenda metropolitana, in cui sembra che non sia tutta farina del sacco Gene Vincent. Infatti pare che sia stata composta durante la degenza in ospedale insieme ad un altro paziente, Donald Graves, il quale, non potendo immaginare il futuro successo di quella canzone, ha ceduto la sua quota di comproprietà per 25 dollari.
Chissà quante volte si sarà pentito di quella vendita molto sprovveduta!
Infatti la canzone era destinata a diventare un classico del rock, cantata ancora oggi in ogni angolo del mondo.

IL SUCCESSO

Il 2 giugno 1956 esce il singolo Be Bop A Lula/Woman Love, nel giro di cinque mesi vende ben due milioni di copie. Attestandosi, così, secondo le rilevazioni di Billboard, il 7° posto in classifica pop, il 5° nella country & western e il 6° nei black singles.
Per sfruttare l’inaspettato successo, Vincent e i Blue Caps si impegnano in estenuanti tournèe che portano il pubblico ad amare la sua immagine. Infatti, grazie al particolare viso affilato e pallido e alla sua presenza scenica, è consacrato come il ‘bad boy’ del rock & roll.

UN CLASSICO DEL ROCK

Be bop a Lula, divenuto uno dei brani-simbolo del rock’n’roll, è stato oggetto di innumerevoli cover da parte di tanti grandi artristi.
Tra i tanti: Tom Jones, Jerry Lee Lewis, The Beatles, David Cassidy, The Everly Brothers, John Lennon, Paul McCartney, Queen, Eric Burdon, Mina e Francesco Guccini.
Solo Elvis Presley non incise la canzone.
Probabilmente perché l’etichetta di Gene Vincent, la Capitol Records, lo scelse come cantante da contrapporre al sempre più popolare Elvis Presley.

DESTINAZIONE EUROPA

Successivamente, a causa di una disputa con l’ufficio delle Entrate statunitense, Gene è costretto a lasciare l’America e ad andare in Europa, dove si rivolge principalmente al mercato britannico e a quello francese.

CAMBIO D’IMMAGINE

Si propone in Inghilterra in grande stile. Su suggerimento dell’impresario Jack Good, Vincent e i suoi musicisti, i Sound Incorporeted, adottano l’abbigliamento in pelle nera. Da questo momento in poi, diverrà una caratteristica costante dell’artista, facendone un personaggio iconico. Infatti ha dato vita e forma, al mito del ‘black leather rock rebel’, in seguito imitato da altri.
La rigenerazione dell’icona artistica del cantante, ha i suoi effetti immediati. Di fatto, il mercato inglese, porta Vincent a riassaporare quel successo che, in patria, il pubblico non era più disposto ad offrirgli.
Inoltre, nel corso degli anni ’60, prende parte a diversi film, compiendo numerosi tour in buona parte del continente.
Nel 1969 partecipa al ‘Toronto Rock & Roll Festival’, dove sono presenti, anche, Jerry Lee Lewis, Chuck Berry, John Lennon, The Doors. Nel 1970 incide per la Kama Sutra, due album orientati al country, i quali sono favorevolmente accolti dalla critica, ma senza riscuotere alcuna presa commerciale.

STILE

Un linguaggio sonoro il suo, basato principalmente su break chitarristici, ondeggianti eco, ed una vocalità sexy. Gene Vincent con i suoi Blue Caps fu anche tra i primi artisti, assieme a Buddy Holly & The Crickets, ad impiegare quella che diverrà la più classica formazione rock: due chitarre, basso e batteria. A dispetto dello scarso riscontro commerciale, la musica di Vincent, può essere considerata fra i più grandi esempi del rockabilly di tutti i tempi. La morte prematura e la tormentata figura, ne hanno consacrato la leggenda.

ICONA DISPERATA E TORMENTATA

Purtroppo, la salute psicofisica del cantante, particolarmente ferita negli anni, da vari episodi accidentali, continua a deteriorarsi. Infatti, dopo essere stato ricoverato in un ospedale californiano, la morte lo raggiunge il 12 ottobre 1971, in seguito ad una emorragia interna.Gene Vincent scompare a 36 anni, lasciando un’eredità musicale che è metabolizzata, successivamente, da tutto il mondo del rock. Tanto da essere annoverato, come una dei primi rocker disperate e tormentate, del rock.

GENE VINCENT OGGI

Nel 1998, per la sua indiscutibile influenza sulla musica popolare statunitense e non solo, viene introdotto nella Rock and Roll Hall of Fame.

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