RISING STARS INTERVISTE: SPECIAL GUEST GLI INCUBI DI FREUD
INTERVISTA: DIETRO LE QUINTE
Trentanovesimo appuntamento con Rising Stars Speciale Interviste (GLI INCUBI DI FREUD), il salotto dedicato agli artisti e alle band indipendenti, curato da Arianna Rebel!
Gli ospiti di oggi, all’interno del nostro format, sono i GLI INCUBI DI FREUD che ci propongono IL VASO DI PANDORA.
Arianna Rebel, con la sua contagiosa allegria e un sorriso sempre pronto, si addentra in un mondo di storie sempre diverse, ma unite da una sola passione: quella per la musica. Attraverso le sue parole, ci svela i progetti, le gioie e le fatiche di artisti, visionari e sognatori, che con la loro arte abbelliscono e arricchiscono il panorama musicale.
La produzione è curata Ark.
Info e iscrizioni su
BIOGRAFIA
Gli Incubi di Freud sono una distopia solista e cooperativa di alternative talkative rock guidata da Joshua McFarrow, noto anche come il “paziente zero” (voce, basso, musica, testi, video, idee, crisi esistenziali) di Ripe San Ginesio, una remota provincia nelle Marche.
Gli altri membri della band viaggiano lungo l’inesistente asse Treia/Porto Sant’Elpidio. La formazione si completa con Alessandro Camela alla batteria, Andrea “K” Piermarteri alla chitarra ritmica e Massimiliano Camela alla chitarra solista.
L’uso di termini psicoterapeutici nel nome del progetto non è casuale: il concetto e le tematiche del gruppo nascono dall’esperienza personale del cantante, che ha trovato espressione attraverso la musica durante le sedute in studio.
Joshua afferma: “Gli Incubi di Freud nascono dalla precisa necessità di fare introspezione pubblica con la schiettezza propria della musica, un ambito che mi permette di muovermi senza gli abituali impacci di un timido impacciato introverso, soprattutto quando ho un microfono sotto al mento.”
La band farà il suo debutto nei club delle Marche e dell’Anconetano solo nella primavera del 2023 con la formazione attuale.
RECENSIONE
a cura di Arianna Rebel
La canzone “Il Vaso di Pandora” degli Incubi di Freud è un esempio raffinato di come la musica possa essere utilizzata per esplorare temi complessi e profondi.
La band ha sapientemente intrecciato elementi di art rock, progressive e hard rock per creare un’atmosfera che è, sia potente che evocativa.
La scelta di ispirarsi alla mitologia greca aggiunge un ulteriore strato di significato al brano, permettendo agli ascoltatori di riflettere non solo sulla storia narrata, ma anche sulle sue implicazioni più ampie.
Il testo della canzone è un punto di forza, offrendo una narrazione che è allo stesso tempo intima e universale, e la performance vocale di Joshua McFarrow, insieme ai cori incisivi, eleva la traccia a un’esperienza quasi cerimoniale.
La storia dietro la creazione di “Il Vaso di Pandora” è altrettanto affascinante quanto la canzone stessa. L’evoluzione da una composizione strumentale a un pezzo pienamente realizzato dopo l’esperienza emotiva al Sziget Festival dimostra come gli eventi della vita possano influenzare e trasformare l’arte.
Questo processo creativo rispecchia la natura stessa del vaso di Pandora: una fonte di innumerevoli possibilità, alcune piene di speranza e altre di avvertimento.
La canzone si distingue per la sua capacità di evitare i cliché delle tipiche revenge song, optando invece per un messaggio più maturo e riflessivo.
Le qualità sonore di “Il Vaso di Pandora” sono particolarmente degne di nota. L’arrangiamento è stato curato per fornire una base solida che supporta e mette in risalto le voci.
La presenza del coro femminile aggiunge una dimensione corale che arricchisce la trama sonora, creando un contrasto dinamico con la voce solista.
Questo approccio alla composizione musicale assicura che ogni ascolto possa rivelare nuovi dettagli e sfumature, invitando gli ascoltatori a immergersi completamente nell’esperienza.
In conclusione, “Il Vaso di Pandora” è un brano che merita di essere ascoltato con attenzione e apertura mentale. Offre un viaggio attraverso emozioni e storie che sono state tessute insieme con grande abilità e sensibilità artistica.
La band GLI INCUBI DI FREUD ha creato un’opera che non solo intrattiene, ma sfida anche l’ascoltatore a considerare le molteplici dimensioni della vendetta, del dolore e della redenzione. È un esempio luminoso di come la musica possa essere un potente veicolo per l’esplorazione dell’animo umano.
INTERVISTA PER ROCKANDWOW
a cura di Arianna Rebel
Nel salottino virtuale dedicato agli artisti di Rising Stars, la redazione di Rockandwow ha accolto degli ospiti molto talentuosi: GLI INCUBI DI FREUD.
In questa speciale intervista, la band ha rilasciato due gemme: una sotto forma di registrazione audio e l’altra tramite parole scritte. Un doppio incontro con la loro musica e la loro anima, che ci porta in un viaggio attraverso note ed emozioni.
- Come vi siete conosciuti e come avete scelto il nome della band?
Io, Joshua, avevo già suonato con Alessandro (il batterista) in una formazione diversa, ma che ha cementato la nostra amicizia. La sezione ritmica c’era già, quindi è stato inevitabile riaffermarla nel contesto giusto. Andrea K (chitarra ritmica) è stato un prezioso errore di valutazione per indisciplina personale, compensata dalla sua grande creatività. Massimiliano (chitarra solista), fratello di Alessandro, è arrivato successivamente con un radicale cambio di formazione. Il nome della band è stata solo logica conseguenza e brillante intuizione di coniugare le tematiche delle canzoni con un nome altisonante e di immediato richiamo. Per un breve periodo ci siamo chiamati “Joshua Has a Brain Dumm Age”, che doveva essere un gioco di parole con la finta pronuncia sbagliata inglese… davvero troppo articolato. - Quali sono le vostre principali influenze musicali e come le incorporate nel vostro stile?
Siamo millennial cresciuti con Mtv e quelle vibes si sentono nella nostra musica. Ci identifichiamo come italian alternative rock cantato, non come rock alternativo italiano. Questa distinzione, sebbene sottile, è significativa; mostra la nostra predilezione per le sonorità anglofone, pur cantando in italiano. Feeder e Jimmy Eat World influenzano la nostra composizione, ma poi ci distacchiamo in molte direzioni, seguendo i nostri gusti personali. In un certo senso, siamo simili ai Ministri/Cara calma/Gazebo Penguins, ma con un occhio ai mercati internazionali. - Cosa vi ispira a scrivere le vostre canzoni e quali sono i temi ricorrenti nei vostri testi?
Gli Incubi di Freud nascono dalla necessità di fare introspezione pubblica con la schiettezza della musica. Questo ambito mi permette di muovermi senza gli abituali impacci da timido introverso. Le canzoni diventano una sessione di psicoterapia condivisa col pubblico, affrontando temi come l’educazione emotiva e i traumi sentimentali, ma anche il degrado socio-politico. - Come descrivereste il vostro processo creativo e come collaborate tra di voi?
Il processo creativo si riassume così: io, Joshua, dopo travagliati parti mentali, lascio che i miei “pargoli” siano accuditi dai musicisti e dal produttore Frank Micucci. Concedo libertà nella revisione delle bozze primigenie. Sono curioso di vedere come le idee si integrano. - Qual è stata la vostra esperienza più memorabile sul palco e perché?
Il nostro debutto con l’attuale formazione è stato allo storico Drunk In Public di Trodica di Morrovalle, gestito dal leggendario Jon Tanfo. È stata una gran bella festa in musica, condividendo il palco e la giornata con i matti dei Krifi Wag, padovani tostissimi! Nonostante la tensione prima del debutto, il buon esito della serata ha portato a lunghi festeggiamenti. - Quali sono le vostre canzoni preferite da eseguire dal vivo e perché?
Potrei fare un torto alle canzoni non menzionate, ma apprezzo l’esecuzione di brani lunghi che restano scorrevoli. Un grazie a chi ha curato gli arrangiamenti per la leggerezza percepita nella densità. Quindi, a malincuore, scelgo “Un vero uomo” e “Il vaso di Pandora” per non sminuire gli altri pezzi meritevoli. - Qual è il vostro approccio alla scrittura di testi e come li adattate alla vostra musica?
L’approccio alla scrittura dei testi è ancora la parte più tortuosa e complicata del nostro percorso compositivo. Questo aspetto deve migliorare. In un tappeto musicale fitto come il nostro, la scelta delle parole che donano musicalità richiede un lavoro minuzioso sui vocabolari. Sarebbe bello diventare più snelli nella musica e nelle parole, ma non troppo, altrimenti rischieremmo di snaturarci. Trovare una buona strumentale per esprimere concetti elaborati, facilmente assimilabili e allo stesso tempo catchy, è come risolvere un’equazione complessa! - Come vi siete evoluti come band dal vostro primo album fino a oggi?
Joshua componeva e cantava. Mirko, prima bassista, è passato alla chitarra. Edoardo suonava il basso. Andrea K aveva uno stile discutibile. Tutto procedeva con didattica a distanza e poche prove, durante e dopo la pandemia. Joshua ha dovuto adattarsi per la mancanza di personale, prendendo lo strumento meno adatto a un cantante. Massimiliano è entrato nella band per incoraggiamento di Alessandro, suo fratello. Andrea K ha ancora problemi di stile. La didattica a distanza è limitata ai casi di necessità. Siamo nati, morti e risorti. Per ora, va tutto bene così! - Come vi siete adattati ai cambiamenti nel settore musicale negli ultimi anni?
Questo argomento ci coglie impreparati, non è chiaro come navigare questo mare burrascoso. Speriamo di non annegare e cerchiamo un porto sicuro all’orizzonte. Seguire le tendenze o mantenere il proprio percorso? È una sfida. Il settore musicale non è mansueto e potrebbe mordere senza preavviso. - Parlateci del nuovo album/singolo.
“DIASTOLE”, il nostro ultimo EP, è un piccolo scrigno ricco di minerali inestimabili: una folgorante mezz’ora di pietre, rubini e diamanti luccicanti, ma anche di vili sassate.
In questo viaggio di trenta minuti, attraversiamo richiami al nu-metal, pop-rock ammiccante e danzereccio, progressive rock che esplora l’educazione emotiva senza ipocrisie, e un cantautorato rassicurante con sfumature alla Battisti.
Non manca il math rock che, pur guardando Oltremanica, si ispira alla mitologia greca. Infine, concludiamo con un viaggio psichedelico interstellare a bordo di synth spaziosi e percussioni che risuonano come asteroidi in collisione con l’astronave de Gli Incubi di Freud.
Diastole chiude idealmente il cerchio iniziato con Sistole, l’EP gemello del 2021. Joshua mantiene la sua verve di narratore emotivo, raccontando in stili diversi le sfumature del suo altalenante sentire e della sua esperienza di vita.
In Diastole, Joshua si apre anche alla denuncia sociale contro la classe politica e socio-economica (con “Leader Carismatico”) e diventa un moderno oracolo di vecchi proverbi (come in “E poi non ridi più”), ricordando al pubblico l’importanza di non smarrire il valore universale della risata. Il comune denominatore tra i brani è un rock molto flessibile, capace di adattarsi alle diverse necessità e atmosfere.
Diastole è stato scritto e composto insieme a Sistole, tra il 2013 e il 2014. La suddivisione discografica tra le due facce della medaglia è dettata dalla maggiore causticità dei brani proposti in Diastole, dove i testi diventano più taglienti e disillusi rispetto al primo EP.
Questo lavoro rappresenta anche un breve riassunto di alcuni episodi salienti della vita di Joshua, un tributo a momenti indelebili tra gioie, dolori, lutti e trionfi.